Il Popolo del Mare

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Storia

El-Ahwat: una fortezza nuragica in Medio Oriente.

Uno dei misteri del popolo nuragico

Nel 1991, l’archeologo Adam Zertal , in cima a una collina a 300 m. sul mare, in località El-Ahwât, nei pressi della citta di Haifa scopre un villaggio, circondato da muri di pietra in cui sono presenti strutture  del tutto simili alle nostre torri nuragiche. L’archeologo non ha dubbi. Quelle torri sono state costruite dal popolo Shardana, identificabile con il popolo nuragico . Le analisi effettuate sui reperti, lo studio sulle torri e gli antichi scritti egizi lo hanno portato a questa sorprendente conclusione. La conclusione è data dal  fatto che le torri nuragiche in quel periodo storico, tra l’età del bronzo e l’età del ferro, erano presenti solo in Sardegna.

I nuragici non vivevano “spalle al mare”

Zertal afferma che gli Shardana sarebbero arrivati in Israele perché, al servizio degli egiziani, avevano il compito di controllare quei territori. Se le considerazioni di Adam Zertal sono veritiere  il popolo nuragico non ha “copiato” da nessuno. In realtà  ha “esportato” le sue tecniche di costruzione in tutto il bacino del Mediterraneo. Secondo il prof. Ugas “Troviamo esempi di terracotta nuragica in Sicilia, Creta, lungo il Peloponneso, a Micene e in Anatolia. Ma questo in Israele e’ probabilmente il sito piu’ ricco e meglio preservato”. Perciò anche la teoria che i nuragici vivessero “spalle al mare”, cioè non conoscessero le tecniche di navigazione, perde sempre più consistenza. Questi territori potevano essere raggiunti solo via mare.Questa scoperta aggiunge un altro tassello alla ricca storia del nostro popolo e ci fa pensare che molto altro ci sia da scoprire.

Storia

Il tempo della “modernizzazione”: il Neolitico in Sardegna.

Il termine neolitico significa “età della pietra nuova”, poiché l’uomo preistorico passa da una lavorazione grossolana della pietra a una più affinata, ma la vera rivoluzione di questo periodo storico è data dalla scoperta dell’agricoltura che ha portato l’uomo da nomade, sempre alla ricerca di animali da cacciare, a stanziale, con la costruzione di veri e propri villaggi. A questo si aggiunge la capacità di allevare animali di piccole dimensioni che diventano una vera e propria riserva di cibo. La popolazione sarda doveva essere poco numerosa pur avendo a disposizione un territorio vasto e abbastanza sicuro. La società del neolitico era divisa in “clan”, gli uomini si dedicavano soprattutto alla caccia e le donne si occupavano della cura dei piccoli, della preparazione del cibo, della conciatura delle pelli e della realizzazione di piccoli utensili e di vasellame.

 

Esisteva all’interno del clan una scala gerarchica della quale occupavano il gradino più alto i cacciatori, in quanto il loro lavoro era indispensabile alla sopravvivenza del gruppo familiare, un posto di rilievo doveva appartenere anche alle donne perché si occupavano della cura dei piccoli e di assicurare al clan cibo e vestiario. I gruppi erano formati soprattutto da individui giovani per l’alto tasso di mortalità presente nella società del tempo. Con il progredire delle tecniche di coltivazione si affinarono anche le tecniche di costruzione delle abitazioni, si passò dalla vita nelle grotte alla vita nelle capanne. Queste ultime avevano una forma circolare ed erano essenzialmente realizzate in legno e frasche, con il tempo assunsero una forma molto simile ai “pinnettos” che ancora oggi vediamo nelle nostre campagne e nei territori del Gennargentu, cioè una forma circolare realizzata con un muretto di  pietre e una copertura di legno e frasche. Certamente in questa fase storica cominciò ad affermarsi il senso religioso e il conseguente culto dei morti, è di questo periodo il culto della “dea madre”. A conferma di questa tesi è stata ritrovata a Macomer, nelle vicinanze del rio s’Adde, una statuina di basalto, alta 15 cm. riproduce una figura femminile dalla “abbondanti curve” che rappresenta la dea madre ed è chiamata “Venere di Macomer”. La Venere di Macomer è molto simile ad altre statuine ritrovate in Anatolia e nel nord Europa. Il culto della dea madre implicava anche la credenza nella vita oltre la morte perciò si cominciò a seppellire i defunti in tombe scavate verticalmente e coperte con lastre di pietra e alle quali si accedeva attraverso un cunicolo orizzontale La salma veniva inumata in posizione fetale e ricoperta di ocra rossa, per scacciare gli spiriti malvagi e per simulare una “nuova nascita”. Il corredo funerario, composto da alcuni vasi di terracotta e monili di pietra e conchiglie, accompagnava il viaggio del defunto verso la rinascita. Il culto dei morti è testimoniato anche dai vasi che costituivano il corredo funerario. Questi vasi avevano caratteristiche differenti da quelli di uso comune nei clan. Erano lavorati finemente e decorati con la tecnica della “ceramica cardiale”, la decorazione avveniva con il guscio di una conchiglia, Cardium edulis, che lasciava dei solchi paralleli e che veniva utilizzata per imprimere fregi particolari. Ma la chiave di volta, che porta il popolo sardo del neolitico a una vera e propria modernizzazione, è data dalla scoperta dell’ossidiana. L’ossidiana è un minerale vulcanico vetroso, facile da lavorare con il quale era possibile ottenere punte di lancia e frecce molto acuminate particolarmente adatte alla caccia. La versatilità di questo minerale e la facile reperibilità, portò l’uomo a perfezionare la tecnica di lavorazione e a dare vita, con l’andare del tempo, a un vero e proprio mercato di manufatti pronti per essere utilizzati. I sardi del neolitico avevano modi di vita, credenze e sistemi abitativi comuni, vivevano in pace fra loro, questa uniformità ha portato all’ origine di culture, chiamate medioneolitiche, quali la cultura di Bonu Ighinu e, la più importante, Cultura di Ozieri

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Ötzi, l’uomo del Similaun, parente dei sardi?

Ötzi è un uomo vissuto in un’epoca compresa tra il 3300 e il 3100 a.C. la cui mummia è stata ritrovata nel confine austro –  italiano nel 1991.

Chiamato anche Mummia del Similaun , dal nome della regione alpina nella quale è stato trovato da una copia di turisti austriaci, si è conservato  grazie alle particolari condizioni climatiche all’interno del ghiacciaio. E’ conservato nel Museo Archeologico dell’Alto Adige. Viene tenuto in una sorta di cella frigo che mantiene,  meno 6°C di temperatura e 98% di umidità relativa, le condizioni di conservazione del ghiaccio nel quale è stato rinvenuto.

I numerosi  studi sul corpo di  Ötzi, hanno permesso di giungere alla conclusione  che sia morto in maniera violenta, in seguito a un’aggressione.  Colpito da una lancia e da un colpo in testa.

E’ una mummia cosiddetta umida e i tessuti  elastici hanno permesso  analisi scientifiche molto sofisticate, in maniera particolare sul DNA. Questi studi, cominciati praticamente subito dopo il ritrovamento, si sono protratti negli anni fino al 2013, quando gli studi sul DNA hanno permesso di identificare l’ alpogruppo di appartenenza di Ötzi:  G2a4 del cromosoma Y.

Ai profani questi numeri e sigle non dicono nulla, ma gli scienziati hanno potuto determinare che:

  • Ötzi è geneticamente distante dalle popolazione dell’Europa continentale;
  • l’ alpogruppo al quale appartiene è molto raro in Europa ed è conservato solo in regioni come la Sardegna e la Corsica;
  • gli antenati di Ötzi sono emigrati dal vicino Oriente, probabilmente nel neolitico;
  • la mappa genetica ottenuta ha dimostrato che, nel DNA di Ötzi, sono presenti caratterisitiche  genetice riscontrabili  nei  sardi e nei corsi.

 “E stato dimostrato – spiega Zink uno dei ricercatori – che con l’attuale popolazione della Sardegna e Corsica vi sono numerose sovrapposizioni. Ciò significa che gli abitanti di queste isole e l’uomo del Similaun hanno avuto antenati comuni”. 

Ne consegue che Ötzi è imparentato con i sardi, questa tesi rafforza ancora di più l’idea che la Sardegna ha davvero una storia millenaria tutta da  scoprire e conoscere.